Un cambio culturale:
da sanità a tutela della salute
Un allarme rimasto inascoltato. La pandemia ha colto alla sprovvista il nostro sistema sanitario (come, del resto, quasi tutti gli altri) e messo spietatamente in luce smagliature e carenze. La prima di esse è costituita dal costante sottofinanziamento della sanità negli ultimi vent’anni: di fronte a un fabbisogno che è esploso con l’invecchiamento della popolazione e l’incremento esponenziale delle malattie cronico degenerative, si è passati da una spesa pari al 7% del Pil nel 2001 al 6,6% del 2019, con una crescita media dello 0,9% all’anno, a fronte di un tasso di inflazione pari a 1,07%. La spesa, perciò, cresciuta in termini assoluti, è in realtà diminuita rispetto al fabbisogno. Non solo.
Secondo il Report 2019 della fondazione Gimbe, rispetto alla spesa impegnata mancherebbero all’appello 37 miliardi di euro che nel periodo 2010-2019 gli esecutivi che si sono succeduti hanno ridotto o rimosso del tutto: circa 25 negli anni dal 2010 al 2015, per tagli conseguenti a manovre finanziarie, e oltre 12 miliardi nel 2015-2019 quando, per esigenze di finanza pubblica, alla Sanità sono state destinate meno risorse di quelle calcolate sul fabbisogno. Questi tagli hanno portato la spesa sanitaria italiana ai livelli più bassi in Europa: nonostante ciò, il sistema ha mantenuto un alto grado di efficienza, soprattutto grazie alla produttività del personale. In sostanza, il sistema stava da tempo lavorando al massimo della propria capacità, con meno della metà dei posti letto e di quelli di terapia intensiva della Germania. La pandemia ha perciò impattato su una sanità sostanzialmente efficiente, pur con i noti dislivelli regionali, ma priva di margini di riserva ed è stato, ancora una volta, l’impegno eccezionale del personale ad evitare il tracollo.
E’ dunque innanzitutto necessaria un’analisi delle ragioni che hanno portato, nel medio periodo, a questa situazione. Il Servizio Sanitario nazionale, ispirato ai principi di universalità, uguaglianza, equità fu istituito con la legge 833/78. Gli enti di presidio territoriale erano le USL, alle quali era attribuita la responsabilità di spesa, mentre Lo Stato provvedeva al finanziamento. Le USL costituivano strutture operative dei Comuni, dei quali riproducevano, nella gestione, i rapporti politici, importandone le logiche e i limiti e favorendo un’azione amministrativa legata a criteri di consenso piuttosto che di efficienza. L’assenza di una responsabilità nella spesa, sanata a piè di lista dallo Stato, abbinata alla crisi della finanza pubblica, misero in evidenza la necessità di un diverso regime organizzativo. Con la riforma del 1992 si segnò perciò il passaggio ad una gestione tecnica di stampo aziendale, con la regionalizzazione dell’organizzazione sanitaria. Alle Regioni furono attribuiti compiti di indirizzo, controllo, coordinamento, nel rispetto dell’autonomia organizzativa, patrimoniale, contabile, gestionale e tecnica delle Asl. Solo nel 1999, con la ministra Bindi, la riforma fu completata con l’istituzione dei Livelli Essenziali e uniformi di Assistenza, ispirati ai principi di efficacia, appropriatezza, economicità: le prestazioni cioè che lo stato era in grado di garantire a tutti i cittadini.
La resilienza del sistema all’emergenza covid, ha confermato la solidità dell’impianto della riforma e la sua coerenza con l’art. 32 della Costituzione, che individua nella salute un “diritto fondamentale”, attribuendolo, contemporaneamente, sia all’individuo che alla collettività.
Ma, allo stesso tempo, ha messo in discussione il ruolo delle “aziende sanitarie”. Per troppo tempo l’accento è stato posto sul sostantivo, più che sull’aggettivo: gli aspetti economici e quelli finanziari sono prevalsi rispetto agli obiettivi di salute. Si è scordato, insomma, che un’azienda sanitaria che chiude in attivo, ma non produce salute e salva meno vite, ha mancato al suo compito. E si è presunto che i tagli lineari potessero produrre automaticamente interventi di riorganizzazione. Non è stato così. Si è visto che sono altre le strade da battere: quelle di un’organizzazione duttile e policentrica, che deriva da una gestione collegiale, e che può consentire, come in molti casi è stato, di incrementare e coordinare la multidisciplinarità, di evitare strettoie burocratiche, adoperare la telemedicina, conseguendo gli obiettivi con una rapidità fino a ieri impensabile.
Ma il salto culturale più grande che è necessario compiere riguarda il passaggio dal concetto di “sanità” a quello, ben più complesso, di “tutela della salute”.
Per conseguire quest’ultimo obiettivo non sono infatti sufficienti efficienza, efficacia e appropriatezza delle cure. La salute delle persone dipende infatti, in misura rilevante, anche dalle loro condizioni sociali e ambientali. Vi è una vasta letteratura che dimostra come la speranza di vita è minore, e la maggior parte delle malattie più frequente, ai livelli più bassi della scala sociale. Povertà, disoccupazione, condizioni abitative ed ambientali, esclusione, discriminazioni, basso grado di istruzione hanno una profonda influenza sulla qualità della salute di ogni persona. Insomma, su questo fronte si manifesta la meno accettabile delle diseguaglianze: il ricco vive mediamente più del povero.
Dunque, servono politiche capaci di porvi rimedio, fin dalla nascita: è necessario predisporre sistemi di protezione della maternità e delle nuove famiglie, strutture di assistenza e prima istruzione per i bambini, un costante accompagnamento scolastico dei ragazzi e incentivi mirati all’occupazione femminile. Ma altrettanto importanti sono gli interventi rivolti agli adulti: lotta alla disoccupazione, con strumenti di rapido reinserimento nel mercato del lavoro, all’isolamento sociale, alla povertà, con strumenti di sostegno al reddito. Secondo un recentissimo rapporto del Centro Salute Globale della Toscana, è indispensabile organizzare un sistema integrato che garantisca coesione sociale e responsabilità reciproca: si tratta di accrescere la percentuale di popolazione che partecipa alle scelte che riguardano la gestione della salute, creando comunità solidali e costruendo rapporti di collaborazione con attori pubblici e privati e col mondo del Terzo Settore. In questa prospettiva risulta determinante anche il contesto macro economico. Le politiche di austerità adottate in Europa hanno avuti effetti profondi nel determinare nuove diseguaglianze e nell’accentuare i dislivelli nei determinanti sociali della salute: una ricerca condotta in 18 Paesi europei ha dimostrato l’andamento inversamente proporzionale tra spesa sociale e mortalità.
Quando si parla di “salute” non bisogna scordare quella che l’OMS definisce come “lezione inascoltata”: la salute fisica deve sempre essere accompagnata da quella “mentale”. Il Covid19 ha reso ancor più evidente questa necessità, sia in relazione allo stress psicologico aumentato in misura rilevantissima, che al peggioramento di tutti i parametri indicativi dei determinanti di salute globale. L’esperienza di quest’ultimo anno ha confermato la centralità del territorio per affrontare il problema: il disagio deve trovare risposte prevalentemente e in prima battuta nei luoghi in cui si genera. Ciò consente di affrontare meglio, con continuità ed in maggior numero, i diversi fattori sociali, intervenendo prima e privilegiando complessità e competenza rispetto a specialismo e selezione basata non sul bisogno, ma sulle risorse che si decide di investire. In questo senso occorre riprendere e rafforzare i riferimenti della riforma basagliana, alla quale è stata spesso messa la sordina sia per quanto riguarda l’organizzazione territoriale e il sistema di prevenzione, che per quanto riguarda l’attribuzione delle risorse.
Ultimo fronte, quello dell’ambiente. Molti studi maturati in ambito biologico biomedico e biosociale, hanno dimostrato come le emergenze virali siano legate alla profonda alterazione degli equilibri del pianeta, alla distruzione progressiva delle risorse naturali a seguito del surriscaldamento e alle sue conseguenze sul clima, con la riduzione del patrimonio forestale e, legato ad esso, dell’habitat naturale di molte specie animali, che ha modificato il rapporto con i relativi microorganismi. Anche la riduzione progressiva della biodiversità, l’inquinamento, sempre maggiore, delle acque e dei terreni, concorrono a modificare l’ambiente e, con esso, le condizioni per una vita salubre. E’ chiaro che per rimediare a questa situazione sarà indispensabile individuare interventi ed azioni a livello globale: ma i riflessi di una concezione predatoria della natura è sotto gli occhi di tutti anche nel nostro Paese.
Sarà dunque indispensabile riorganizzare profondamente tutto il sistema della salute, incrementando la spesa complessiva ad essa dedicata. Non sarà semplice farlo in una situazione di carenza di risorse, ma serviranno progetti mirati che, senza compromettere le compatibilità economiche generali, possano individuare nuove fonti di finanziamento. Non voglio introdurre surrettiziamente un dibattito sulla fiscalità, ma, nella situazione che ci troviamo ad affrontare, occorre quantomeno recuperare tutte le risorse possibili da interventi fermi e decisi sull’evasione fiscale. Un tema spesso affrontato solo a parole, limitandosi a confidare nei risultati dell’attività ordinaria degli apparati pubblici preposti alla verifica ed al controllo, quando non si è pensato addirittura di indebolirli non ritenendo quell’attività una priorità politica. Di fronte a un servizio pubblico che, com’è doveroso, ha curato tutti allo stesso modo, cittadini ligi ai doveri fiscali ed evasori, non è più possibile alcuna esitazione: esistono competenze, misure e strumenti che consentono oggi di andare in profondità. Non mi riferisco solo alle competenze maturate all’interno delle Agenzie fiscali e delle forze dell’ordine, o delle esperienze di avanguardia all’interno della Magistratura. Occorrerà avvalersi delle tecnologie informatiche e dell’incrocio tra banche dati, riformando e semplificando le procedure amministrative, eliminando le strettoie burocratiche, incentivando politiche di collaborazione tra Pubblica Amministrazione, imprese, cittadini. La scommessa sulla salute dei cittadini è troppo grande per permettersi di perdere il momento giusto.